Una struttura in legno chiusa tanto sul lato ovest (in quanto poggia sulla parete perimetrale del fabbricato) quanto su quello est (da porte scorrevoli e in alluminio) non può essere considerata un gazebo e, dunque, per realizzarla occorre un permesso di costruire.
Ad affermarlo è il Consiglio di Stato con la sentenza 30 agosto 2023, n. 8049 (testo in calce), in risposta al ricorso presentato da un cittadino contro l’ordinanza di demolizione dal Comune, per aver realizzato su di un locale commerciale, in assenza di permesso di costruire, una struttura simile ad un gazebo.
I gazebi rientrano nella nozione di manufatti leggeri e, quindi, nel novero dell’edilizia libera. Tuttavia, nel caso di specie, il manufatto da demolire, seppur simile, non può essere assimilato ad un gazebo, trattandosi di una struttura in legno chiusa tanto sul lato ovest quanto su quello est (da porte scorrevoli e in alluminio).
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1. Il fatto
Il manufatto oggetto di contenzioso era, in realtà, una struttura in legno “tipo gazebo” con chiusura sul lato est effettuata con porte scorrevoli in vetro e alluminio, e su lato ovest poggiante sulla parete perimetrale del fabbricato. Di forma rettangolare, aveva dimensioni di circa metri 16,00 di lunghezza, una larghezza media di circa metri 4,80.
Il comune ne aveva ordinato la demolizione in quanto, per essendo simile, il manufatto non era un gazebo, e rientrava tra gli interventi che richiedono necessariamente il permesso di costruire ai sensi del T.U. Edilizia n. 380/2001 (interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia tra cui rientrano interventi di nuova costruzione, ristrutturazione urbanistica e interventi di ristrutturazione edilizia che portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente).
Il proprietario si è opposto alla demolizione, sostenendo l’opera realizzata rientrerebbe negli interventi di edilizia libera o, al più, nell’ambito del regime della S.C.I.A. (se non C.I.L.A.).
I giudici amministrativi hanno però rigettato il ricorso, confermando l’ordine di demolizione.
2. L’ordine di demolire riguarda sia il proprietario che il responsabile dell’abuso
In primis, il Consiglio di Stato ricorda che l’art. 31 del D.P.R. 380/2001 (T.U. Edilizia) individua quale destinatario dell’ordinanza di demolizione, oltre al proprietario, anche il responsabile dell’abuso.
Inoltre, “l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con la conseguenza che essa è dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione se contiene la descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro abusività”. Ne consegue che non è necessario che l’amministrazione individui un interesse pubblico – diverso dalle mere esigenze di rispristino della legalità violata – idonee a giustificare l’ordine di demolizione.
3. Definizione di gazebo
Entrando nel merito della questione, i giudici ricordano che, secondo la giurisprudenza prevalente, per «gazebo» si intende, nella sua configurazione tipica, “una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili”. Come tali, e purché non abbiano autonomia funzionale e non realizzino uno spazio chiuso stabile, i gazebo rientrano nella nozione di manufatti leggeri e, quindi, nel novero dell’edilizia libera.
Questa è la definizione fornita dallo stesso Consiglio di Stato in diverse pronunce. Tra le più recenti, ricordiamo Consiglio di Stato, Sez. VI, 29/06/2023, n. 6263 e Sez. VI, 27/04/2021, n. 3393 che hanno circoscritto la nozione di “manufatti leggeri” annoverabili nell’area dell’edilizia libera, facendovi rientrare esclusivamente tende o gazebo che non abbiano autonomia funzionale e non realizzino uno spazio chiuso stabile.
4. La decisione
Ora, nel caso in esame la struttura realizzata dal ricorrente non risponde alle caratteristiche sopra descritte; essa è “simile ad un gazebo”, ma ha caratteristiche tali da renderla, in realtà, una struttura diversa; dunque, secondo i giudici, non si può parlare di “gazebo”.
Spiegano i giudici di Palazzo Spada che l’intervento edilizio in questione “ha portato alla realizzazione di una struttura chiusa tanto sul lato ovest (in quanto poggia sulla parete perimetrale del fabbricato) quanto su quello est (da porte scorrevoli e in alluminio)”; pertanto, “risultava assoggettato al previo rilascio di un permesso di costruire”.
5. I precedenti
Tra le tante pronunce sull’argomento, si può richiamare la recente sentenza del TAR Lazio, Roma, sez. II stralcio, 7 luglio 2023, n. 11418, in cui si afferma che cinque gazebi di dimensioni variabili da 4 x 4 metri a 5 x 5 metri, di varie fattezze e altezze, utilizzati per finalità commerciali su un’area antistante il locale commerciale “ed aventi quindi funzione e natura commerciali”, non possono considerarsi meri manufatti rientranti nell’attività edilizia libera.
Nella fattispecie, veniva in rilievo l’installazione di gazebi che, con finalità espositiva della merce, comportava un’estensione della superficie commerciale e non risponde in alcun modo a finalità di mero arredo di spazi esterni.
Tenuto conto, inoltre, del numero di gazebi installati e delle relative dimensioni, implicanti un significativo impatto sul territorio, con visibile alterazione dello stesso, siffatte opere, secondo il TAR sarebbero qualificabili come di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3 comma 1, lett. d, del DPR n. 380/2001, subordinati quindi al regime del permesso di costruire o comunque della SCIA alternativa al permesso a costruire.
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Consiglio di Stato, Sentenza 8049 del 2023